Carmelo Di Bella

Catania, 30 gennaio 1921 – Palermo, 9 settembre 1992

Brescia, stadio “Rigamonti” di Mompiano, domenica 19 giugno 1977. Sono le 18 e 30 di un pomeriggio calcistico amarissimo. Il Catania è stato sconfitto 4-1 dal Brescia e classificandosi al penultimo posto con 31 punti, deve salutare la serie cadetta dopo soli due anni. Un uomo con le tempie incanutite, nei pressi dello spogliatoio ospiti, sta fumando una sigaretta dopo l’altra. Il nervosismo si taglia a fettine. Quell’uomo ha gli occhi lucidi e, boccata dopo boccata, gli anelli di fumo lo riportano indietro di quasi venti anni, al 1958. Quell’uomo è Carmelo Di Bella, e nel 1958 gli veniva consegnata la guida della squadra con la quale avrebbe ottenuto successi impensabili costituendo un periodo d’oro per molti decenni irripetibile. Quella squadra era il Catania…

Facciamo un passo indietro: Carmelo Di Bella è nato a Catania il 30 gennaio 1921. Visse in ristrettezze economiche che si inasprirono a causa della malattia della madre. Il calcio fu da subito nel suo destino: militò tra le fila del Catania nella seconda metà degli anni trenta. E conquistò da riserva, nel 1939, la promozione in serie B con mister Degni in panchina. Trasferitosi a Palermo nel 1941, qui trovò la sua dimensione come calciatore nel ruolo di mezzala. Giocò il leggendario girone misto A/B 1945/46 e poi conquistò con i rosanero la promozione in serie A nel 1948 esordendo nella massima serie postbellica.

Dopo una tumultuosa fase da allenatore-giocatore in giro per la Sicilia, nel 1957 Di Bella venne richiamato dal presidente etneo Agatino Pesce che gli affidò le giovanili rossazzurre.

La vera svolta avvenne nel dicembre 1958: Arturo Michisanti, nel frattempo clamorosamente rientrato a presiedere il Club Calcio Catania, esonerò il tecnico belgradese Marjanovic a causa della forte crisi sportiva in cui versava la squadra e affidò la squadra a Di Bella che accettò dopo molti tentennamenti ed esordì ufficialmente il 28 dicembre 1958 strappando uno 0-0 al Celeste nel derby col Messina. Dopo un interregno dualistico con Felice Borel, il tecnico catanese agguantò la salvezza vincendo a Vigevano e Valdagno.

Subentrato Ignazio Marcoccio alla presidenza nel 1959, per il Catania stava per cominciare un irripetibile periodo d’oro con Di Bella ben saldo alla guida del club. Il Catania ‘59/60 conquistò il clamoroso ritorno in serie A in modo rocambolesco all’ultimo turno: benchè sconfitti a Brescia 4-2, i rossazzurri, disperati, appresero ben oltre la fine del loro incontro del pareggio della Triestina a Parma ( 2-2 ); pari che inchiodò i giuliani alla permanenza in B e schiuse ai siciliani le porte della massima serie per la seconda volta nella storia. Un Catania entrato nel mito: Gaspari fra i legni; Grani e Corti in difesa; Biagini, Morelli e Ferretti in mediana; Buzzin e la celebre accoppiata MacorPrenna in attacco. Miglior attacco della B con 55 reti, il Catania disputò la Coppa delle Alpi travolgendo i tedeschi del Friburgo e facendo così trionfare le squadre italiane nella vittoria finale.

Rimesso il piede in Serie A, l’Elefante stupì da subito mantenendo l’intelaiatura della promozione. La stagione 1960/61 visse di momenti indelebili, come il ko in terra interista (5-0) quando in palio c’era per entrambe il titolo d’inverno! Campionato chiusosi, il 4 giugno 1961, con la tremenda vendetta al Cibali contro la stessa Inter: 2-0, con reti di Castellazzi e Calvanese e scudetto nerazzurro infranto nel nulla di quella giornata-simbolo della storia calcistica catanese (a lungo si è detto che durante questa gara Sandro Ciotti pronunciò la famosa frase: «Clamoroso al Cibali!»).

Di Bella, acclamato perfino dall’anziano Vittorio Pozzo, divenne per tutti una sorta di “mago del Sud”. Il Napoli e la Juventus ne sondarono la disponibilità. “Don Carmelo” chiese inopinatamente alte cifre di ingaggio e si narra che, recandosi a colloquio da Gianni Agnelli, trovò in stanza l’asso Omar Sivori in atteggiamenti fin troppo maleducati e ciò indusse il trainer catanese a nemmeno intavolare una trattativa col club bianconero.

Il binomio col Catania proseguì felicemente in quei radiosi anni ‘60. Marcoccio provvide, negli anni, a dotare la rosa di calciatori di indiscussa classe come Vavassori, Bicchierai, Szymaniak, Cinesinho, Danova… oppure a scovare giovani importanti come Fanello, Facchin. Lì davanti Memo Prenna era il terminale ideale per il gioco rossazzurro.

Di Bella dirige un allenamento dei rossazzurri al “Cibali” nel 1961-62

Al Cibali, una dopo l’altra, cominciarono a cadere le “grandi” e anche nei “templi” più blasonati i rossazzurri si facevano rispettare: il 7  aprile 1963, una rete di Gigi Milan al 78°, consentì agli etnei di espugnare la Torino bianconera. Successo che spianò la strada alla salvezza.

Seguì un altro fortunato biennio in serie A: la stagione ‘63/64 fu caratterizzata dalla finale persa in coppa delle Alpi contro il Genoa a Berna ma anche dalle reti in campionato di Danova e Fanello e dall’ottavo posto. Mentre per il campionato ‘64/65 il Catania partì sparato nelle prime quattro giornate condotte al vertice. Danova trovò in Carlo Facchin un compagno di reparto formidabile e i due totalizzarono 25 reti insieme (13 per Carlo, 12 la “pantera”). Si ottenne un altro lusinghiero 8° posto.

Di Bella è all’apice della carriera, vanta oltre 250 panchine ufficiali col Catania. È un personaggio: nasconde a fatica il suo accento siciliano che ogni tanto lo tradisce quando sforna detti e massime imperniati sulla disciplina e la concretezza, suoi cavalli di battaglia. Fumatore accanito, uomo dotato di grande fascino che usava con galanteria presso l’altro sesso.

La favola calcistica rossazzurra, tuttavia, si interruppe bruscamente nel 1966. Marcoccio, infortunatosi, non potè seguire il calciomercato estivo come suo solito. Fu messa in piedi una rosa, per la stagione di serie A ‘65/66, inadeguata e senza più assi. Di Bella, il 10 gennaio ‘66, rassegnò le dimissioni infastidito tra l’altro da una foto sul giornale che lo ritraeva con una valigia accanto. Il fido secondo Gigi Valsecchi portò a termine il campionato chiuso con una inevitabile retrocessione in B.

Concluso il contratto che lo legava al club rossazzurro, l’allenatore catanese tentò la fortuna al Catanzaro. E poi a Palermo, dove trovò nuovi stimoli vincendo la B ‘67/68 e il prestigioso premio “seminatore INA”. Dal matrimonio con una donna palermitana, nacque un figlio cui il padre impose il suo identico nome. La nuova avventura rosanero culminò con una retrocessione in serie cadetta.

Nell’ottobre del 1971, Angelo Massimino (nuovo patròn del club etneo) lo chiamò per tentare una immediata risalita in A. È il Catania di Rado, Spanio, Fogli, Bernardis, Baisi, Bonfanti e Francesconi. Le squalifiche di campo vanificarono il buon lavoro fatto durante la prima parte di stagione. Alla fine fu solo 8° posto.

Confermato anche per la stagione di B ‘72/73, don Carmelo si confrontò con la nuova società retta da Salvatore Coco. Un Catania fortissimo in difesa ma anemico in attacco dove l’unica novità fu il giovane e talentuoso Scarpa. L’aggancio alla A fallì a tre gare dal termine in quel di Arezzo dove la barca siciliana affondò con una rete di Ciccio Graziani.

Rassegnate le dimissioni d’estate, l’ennesimo ritorno lo portò a Catanzaro per la stagione ‘73/74, in B. Di seguito occupò, senza fortuna, la panchina della Reggiana.

C’era un ultimo capitolo da scrivere, con la natìa casacca rossazzurra. Massimino lo richiamò nell’estate del ‘76, ancora in B. È un Catania dalle dubbie potenzialità: l’attacco anemico retto dalle mutevoli lune di Bortolo Mutti. La difesa colabrodo. Molti big del passato sono stati ceduti e anche la dirigenza ha perso pezzi importanti. La rosa è un mix di giovani del vivaio (Cantone, Angelozzi, Chiavaro) e di svernatori di fine carriera come Tanino Troja.

Il tracollo avvenne nella parte finale del torneo, quando agli etnei sarebbero bastati pochi comodi punti per la salvezza. Invece furono perse tutte e tre le ultime gare con Modena, Ternana (al Cibali) e a Brescia dove sarebbe bastato un misero punto e invece le rondinelle dilaniarono l’elefante lasciando a Troja il beffardo inutile golletto della bandiera.

Rieccoci dunque nello stanzone dello stadio Rigamonti, con un Di Bella quasi piangente al cospetto di calciatori infuriati l’uno con l’altro e a terribili sospetti che si insinueranno ancora a distanza di anni.

Sul ruolo “carontico” di Carmelo Di Bella si è spesso discusso: lui aveva creato il miracolo Catania negli anni ‘60 e a lui toccò in sorte di ritraghettarlo negli inferi più bui di sempre. Coi rossazzurri ha collezionato 11 stagioni da allenatore; 1 promozione in A; 5 salvezze consecutive in A e 2 retrocessioni.

Le grida di don Carmelo dalla panchina ai giocatori