Stabilità

La stabilità in economia è una virtù. Non è un caso che il principale documento economico del governo sia proprio la legge di stabilità; che i paesi europei abbiano aderito ad un patto di stabilità; che esista nel nostro paese un patto di stabilità interno. É stabile un sistema economico che non oscilla troppo verso l’alto o verso il basso. É stabile un sistema economico che riesce a controllare la dinamica dei prezzi e la dinamica della disoccupazione. É stabile un sistema economico che cresce evitando di riscaldarsi troppo, con il rischio di fiammate dei prezzi, o di raffreddarsi troppo, con il rischio di generare povertà. La stabilità dunque é una virtù ricercata e che si vuole instillare nel funzionamento delle nostre economie, almeno nelle intenzioni. Non é strano che lo sia.

 

La stabilità, infatti, è desiderata da ciascuno di noi. La gran parte dei nostri consumi si ripete uguale a se stessa giorno dopo giorno.  Pertanto, desideriamo che le nostre possibilità economiche non oscillino troppo da un giorno all’altro. Ciò non significa, ovviamente, che non desideriamo che crescano; desideriamo solo che crescano in maniera stabile, senza impennate e senza cadute. E non significa neanche che non desideriamo la novità. La novità é ricercata e voluta se può essere incorporata in un percorso già tracciato. Altrimenti rischia di essere incomprensibile e poi rifiutata. Non sorprende, dunque, che le istituzioni che stanno alla base della nostra convivenza abbiano assorbito e fatto proprio quel valore.

 

I governi infatti – a tutti i livelli – si dotano di politiche di stabilizzazione. E lo fanno appunto attraverso leggi e patti di stabilità. Intendono così imprimere alle economie che governano un tracciato virtuoso che le faccia procedere senza cadute e senza improvvise accelerazioni. Ciò significa, per esempio, sostenere la domanda quando questa nel suo insieme tende a deprimersi, oppure controllare la spesa quando questa, crescendo troppo, di riversa sui prezzi e sui tassi di interesse.  Può significare anche contenere la pressione fiscale quando questa, raggiungendo livelli insopportabili, deprime i consumi e scoraggia gli investimenti. Nel tempo i governi hanno affinato questa capacità di controllo di stabilità, riducendo i margini di oscillazione delle principali variabili economiche.

 

Non sempre però la stabilità è una virtù da sostenere. La ricerca della stabilità, infatti, può compromettere la realizzazione di altri obiettivi desiderabili. Negli ultimi anni – secondo molti analisti – la ricerca della stabilità ha compromesso la crescita, ossia ha compromesso quel percorso di base che tutte le economie dovrebbero seguire in relazione alle loro forze, a prescindere dalle oscillazioni temporanee che attorno ad esso si verificano da un anno all’altro.  Questa accusa è stata rivolta in modo particolare alle istituzioni monetarie europee, colpevoli di preoccuparsi troppo della stabilità monetaria e troppo poco della crescita dei redditi e dell’occupazione. In pratica, preoccupandosi di ridurre le oscillazioni intorno alla media si finisce per abbassare la media. Vi è quindi un’altra nozione di stabilità che merita attenzione. Si tratta della stabilità istituzionale; quella stabilità che garantisce le condizioni all’interno delle quali tutti possano realizzare al meglio i propri progetti di impresa, di lavoro, di innovazione, di cultura, di famiglia. Solo a queste condizioni il potenziale di ciascuna economia può esprimersi al massimo. Ma su questo i governi fanno molto peggio di quanto facessero in passato.

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