Dalla polvere di stelle di “Campioni – il Sogno” al sogno made “ Stars and Stripes”

Stagione sportiva 2004/05, siamo agli albori di quello che fu il “1992” del calcio italiano, la prima di due annate nere, dove più che il pallone e le classifiche saranno tribunali e magistrati a decidere le sorti di quello che allora era ancora La serie A, dominio assoluto della “Vecchia Signora”, corsara insieme al Milan nel corso di quasi un ventennio di tutto ciò che c’era da vincere in casa e non, in Europa e nel mondo.

Tutto ciò stava per finire, la Triade stava per venire risucchiata dagli scandali di Calciopoli , generando quell’effetto domino che nei due anni a venire porterà la Juventus per la prima volta in Serie B, l’Inter a riconquistare lo scudetto e infine, paradosso tutto italiano, la nazionale azzurra al trionfo di Berlino.

In questo clima di tempesta latente, prima di vedere morire la Prima Repubblica del calcio, il mondo del pallone incrociava i suoi interessi con le nuove tendenze mediatiche, frutto del boom televisivo generato dal mondo del Reality.

Questo incontro ha generato uno dei più originali ma forse meno riusciti show televisivi italiani: Campioni il Sogno, show incentrato sulle vicende di una squadra di Eccellenza, il Cervia, seguita ventiquattro ore su ventiquattro e gestita parzialmente, attraverso il televoto, dal pubblico da casa.

È qui che inizia la storia del nostro protagonista, uno dei ventotto giocatori in rosa che grazie alle preferenze del pubblico, vincendo insieme ad altri tre il televoto avrebbe avuto la chance di partecipare al ritiro estivo di una delle tre grandi d’Italia, Juve, Milan e Inter. Al nostro Arrieta, con un passato in C col Mestre, l’Ivrea e una breve parentesi al Genoa, toccò la maglia nerazzurra, Lorenzo Spagnoli e Fabio Borriello, fratello del celebre Marco, toccarono Juve al primo e ovviamente Milan al secondo.

arrieta

Nessuno dei tre riuscì nel “Sogno” di ottenere un ingaggio nella massima serie, ritornando a giocare con discreto rendimento nella terza serie italiana. Arrieta ripartì così da Lecco in C2 dove grazie ad un buon rendimento tornò a mettersi in evidenza senza aiuto del pubblico, trovando inaspettatamente la stima del guru di Boemia Zdenek Zeman, appena tornato a Lecce in cadetteria

Cristian che è salentino di madre, coglie un altro treno, stavolta molto più concreto e meno velleitario della bolla di sapone a cui aveva affidato due anni prima le sue sorti calcistiche. A fine stagione totalizzerà una decina di presenze, quasi tutte con il boemo in panchina, prima che la scontenta dirigenza giallorossa decidesse di sollevare l’ex tecnico del Foggia, che comunque in quella stagione ebbe il merito di lanciare un giovanissimo Pablo Daniel Osvaldo.

Christian Arrieta perde la seconda scommessa, stavolta in casa, con la maglia che forse più di tutti ha sognato e che purtroppo non lo ha visto consacrarsi come profeta in patria.

Spente le telecamere del Cervia, conclusa con rimpianto la parentesi leccese, per Arrieta, che ormai non è più un ragazzino agli esordi, sembra giungere ancora una volta la prospettiva di un ripiego qua e là nel panorama calcistico della provincia italiana, magari trovando un buon ingaggio e una società ambiziosa, cosa alquanto difficile in una serie C che da alcuni anni ormai sanguina per colpa di debiti e una pessima gestione federale.

Christian era un giocatore svincolato e nel dimenticatoio quando agli inizi del 2008 passa il terzo treno della sua carriera rocambolesca e altalenante, l’ultimo, quello giusto.

Arrieta, ha un cognome basco poiché il padre è originario di quella regione della penisola iberica luogo di sangue e orgoglio nazionalista. Arrieta Senior nel ’79 vola in Florida, terra che darà i natali al difensore che porta con orgoglio la nazionalità italiana della madre e della terra in cui è cresciuto. L’America però torna a chiamare, i Puerto Rico Islanders, squadra impegnata nella NASL, l’ei fu massima divisione statunitense, vogliono Arrieta; il salentino di sangue basco ma nato a Orlando, giunge nell’isola caraibica, terra più conosciuta per le popstars che per il calcio.

Inizia qui la terza vita calcistica di Christian Arrieta che in due stagioni diventa protagonista assoluto della seconda lega americana, realizzando 17 goal, ottimo bottino per un centrale difensivo, ottiene la fascia da capitano e a 31 anni colleziona il suo primo gettone di presenza con la nazionale della piccola isola caraibica, dopo aver accettato di essere naturalizzato.

Il sogno che non si era concretizzato cinque anni prima con la maglia gialloblù del Cervia alla fine giunge; nel 2009 Arrieta fa il salto in Major League Soccer con i Philadelphia Union, Christian gioca una discreta stagione, affrontando nel corso del campionato avversari del calibro di Thierry Henry, David Beckham e Landon Donovan, che da lì a poco dopo avrebbero partecipato al successivo mondiale sudafricano.

La storia di Cristian Arrieta è la storia di chi ha voluto scommettersi fino alla fine, una storia di tenacia e passione, alternata da scelte poco felici, e scelte audaci e proficue, tutte contornate da un’aura pittoresca degna di una originale e bizzarra sceneggiatura cinematografica, in cui il protagonista, nel più classico stile hollywoodiano sorge dal fango per raggiungere non senza tribolare tra sudore, fatica e sofferenza alla propria affermazione. La carriera di Arrieta non poteva chiedere di meglio per il suo epilogo, con un lieto fine sportivo che per coincidenze del destino giunge all’apice proprio a Philadelphia, la città in cui una scalinata è diventata per antonomasia un simbolo di ascesa e di trionfo.

 

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