The King, the Sir and the Best

Sono gli anni ’60 e in Inghilterra Mods e Rockers invadono le strade, Beatles e Rolling Stones invadono le radio e i Red Devils i campi di calcio con tre ragazzi molto diversi fra loro che ben rappresentano le controversie della terra di Albione: the King, the Sir and the Best.

Il re è Denis Law, uno scozzese snello, veloce e dal tocco nevrotico. Segna gol a raffica, ha un ciuffo biondo rossiccio e la faccia da spiritello. È arrivato al Manchester United dopo una breve parentesi al Torino, finita dopo l’ennesima bravata che per poco non si tramutò in tragedia. Assieme al compagno di squadra, e di guai, Baker, Denis resta coinvolto in un incidente all’alba dopo una notte brava. Baker è malconcio, Law se la cava con qualche graffio ma viene rispedito oltremanica.
In fondo però non gli va così male, diventa il marcatore più prolifico dei Diavoli Rossi con i quali riesce a vincere tutto e a conquistare l’ammirazione di tutti.
La sua esultanza con il braccio in aria, il dito verso il cielo e la mano che stringe la manica, è imitata nei campetti da migliaia di ragazzi se e giù per il paese, non importa che squadra tifino.

Bobby Charlton è un giocatore diligente, bravo a difendere e ad attaccare, dal senso tattico enorme, bravo con entrambi i piedi e con un tiro eccezionalmente potente. Dei tre è l’unico a portare la maglietta dentro i pantaloncini, ai ciuffi ribelli contrappone un riportino molto british, qualche birra la berrà anche lui, ma probabilmente prima di andare a letto e senza mai farsi beccare ubriaco.
È scampato al terribile incidente aereo costato la vita a molti suoi compagni di squadra il 6 Febbraio 1958, è campione del mondo nel 1966 con la nazionale dei Three Lions – e per questo è Sir non solo di soprannome ma anche di fatto – e nel 1968 è lui ad alzare la Coppa dei Campioni vinta dal Manchester United guidato dal fantastico trio.
Amato e rispettato, è l’esempio che i genitori inglesi invocano mentre i loro figli escono per le strade, contro una civiltà bigotta e dalla moralità sempre meno credibile, a protestare.

L’ultimo dei tre è un ragazzo di Belfast che ha speso molti soldi per alcool, donne e macchine veloci…il resto lo ha sperperato. È uno dei più grandi giocatori di sempre, e sicuramente il migliore d’oltremanica: George Best. È un giovanotto magro, gli occhi vispi e il sorriso furbo, sfrontato con le belle donne come con gli avversari: «non puoi solo andare là fuori e battere l’avversario; devi impressionarlo a tal punto che non vorrà vederti mai più». E ci riusciva bene, durante una partita dribblò tante di quelle volte il suo marcatore che il malcapitato aveva paura di intervenire quando la palla ce l’aveva lui perché temeva ormai la figuraccia. Best se ne accorse e durante la partita cominciò a fintare, poi si fermò di fronte al difensore e si tolse la scarpa, e passò ad un compagno col piede scalzo. Era irriverente, ma non arrogante, diceva sempre quello che pensava, si vestiva in maniera stravagante e portava i capelli lunghi. Un tipo divertente, allegro ma con un abisso dentro. Un artista con il suo spleen, che lo faceva bere senza limiti. L’alcool lo distraeva dalla pesantezza dell’esistenza e gli spappolava fegato e milza. Spleen deriva da una parola greca che significa milza.
Nonostante questo demone George Best è stato un vincente, fin quando ha continuato a correre, fin quando e riuscito a nasconderlo.

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