SGARRINCHA

 

PH Maria Concetta Immè
PH Maria Concetta Immè

Quattro righe bianche disegnano sul prato verde il rettangolo di gioco, entro il quale ventidue giocatori si contendono, inseguono e provano a controllare le infinite e imprevedibili traiettorie di una sfera con l’unico scopo di insaccarla nella rete tenuta in piedi da un altro rettangolo che si erge nella terza dimensione sorretta da due pali e una traversa.

A difesa di essa il portiere, figura solitaria e mistica che in un altro rettangolo – l’area di rigore – è padrone e prigioniero potendo toccare e immobilizzare la palla con le mani – unico fra gli undici della squadra – ma solo e soltanto dentro l’area di rigore.

Quando la palla esce fuori da questi confini il gioco viene interrotto, si rifiata. Anche se esce nello spazio contrassegnato dai pali e la traversa il gioco si ferma, si gioisce: è gol, momento sublimante del calcio.

Il calciatore corre e suda inseguendo il gol nel tentativo di districare il filo del proprio destino, con la spensierata e ingenua consapevolezza del fanciullo.

A guardia di questo rito sportivo è l’arbitro, magistrato supremo dal giudizio inappellabile – almeno entro i novanta minuti di gioco – che, preposto a far rispettare le regole, disciplina il gioco con il suo perfettibile discernimento.

Il calcio è caos nell’ordine, ordine nel caos. È l’estremo tentativo di comprenderlo, controllarlo – o assecondarlo – e di esserne parte.

Sgarrare è un termine dialettale siciliano – particolarmente della Sicilia orientale – dall’etimologia incerta che viene fatta risalire al francese égarer che significa uscir fuori di strada, o allo spagnolo desgarrar che significa invece lacerare.

Lo sgarro è quindi una deviazione dai binari della morale comune, uno squarcio nelle regole della società, espressione di una libertà individuale o collettiva irridente e irriverente.

È furbizia, follia e istinto che sbeffeggiano leggi fisse e imperiture per far gridare allo scandalo prima e all’impresa poi.

Garrincha ne è il simbolo nel gioco del calcio, un uomo che questi binari li ha visti solo con la coda dell’occhio: ignorandoli.

Con una gamba più corta dell’altra, praticamente zoppo, è diventato uno dei più forti di sempre in uno sport che si pratica principalmente con i piedi. Famoso, idolatrato è morto povero ed alcolizzato nella solitudine di chi ha vissuto la vita gioendone e contrastandola allo stesso tempo.

Il nome della rubrica Sgarrincha nasce da un termine e da un personaggio fortemente popolari ma al contempo universali, metafore reali di un modo di concepire la vita gaudente e doloroso, ingenuo e consapevole, eroico e per questo perdente.

Parlare di sport e di calcio da una prospettiva altra, evitando ove superflui esasperati tatticismi, incuranti del politically correct, provando a inserirsi nella narrativa, nella storiografia, nella letteratura sportiva, senza fasti né allori: questo è Sgarrincha!

 

 

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